giovedì 10 aprile 2014

Il potere generativo della parola

E Dio disse: "LUCE!"
E la Luce fu.

Senza andare a scomodare la Genesi ( 1, 3), documenti molto più prosaici confermano quello che da un po' di tempo mi frulla per la testa.
La parola ha potere.
Ha il potere di evocare immagini , di comandare azioni, di stabilire relazioni, di palesare pensieri.
Di parole è composto il linguaggio.
E Vikram Chandra, scrittore indiano che ha sperimentato la professione di programmatore, accosta questa ultima attività alla narrazione.
E dunque se il linguaggio è base comune,  nella programmazione è soltanto denotativo, logico, mentre nella narrazione  deve inserire ambiguità,  perchè "la poesia parla attraverso ciò che non dice" ( Corriere della Sera - La Lettura, 16 marzo 2014)
E' vero dunque che attraverso la programmazione, il linguaggio crea, e non solo evanescenti software. Attraverso le complicate tecnologie costruttive odierne, la realizzazione di circuiti integrati,  di componenti industriali e più recentemente di oggetti anche di uso comune attraverso le macchine 3D passa attraverso la descrizione mediante linguaggi più o meno difficili ma che non si discostano poi molto da sequenze di  comandi in lingua corrente

while (($pport , $type) = each (%$tempItemPort))
            {
                  if (length( $pport ) > 0)
                  {
                        if( $type =~  /slave/ )
                        {
                              print  SDincl ( "\t\tSC_METHOD($pport) ;\n " );
                              print SDincl ("\t\tsensitive << $pport;\n\n");
                        }    
                  }
                 
            } #endfor
                 
                  print SDincl ("\t\t}\n\t};\n");
           

            close (SDincl );

(riconoscerete qui molte parole inglesi di uso corrente - if, while, each, print, close - alle quali corrispondono numerosi cambi di stato nel sistema software o l'applicazione di particolari strutture in caso di realizzazione fisica ) 


Senza addentrarmi troppo in questa scivolosissima china, anche in termini psicoanalitici, l'uso delle parole è paradigma dell'esistenza umana. Se nel post precedente mi riferivo alla comunicazione umana, che per Watzlawick si pone come primaria manifestazione di identità , leggo poi da Massimo Recalcati che la sola legge importante in prospettiva psicanalitica è la Legge della Parola: 
- l'essere umano è essere di linguaggio, che si può manifestare solo con la Parola;
- la vita umana si differenzia da quella animale attraverso la sua esposizione al linguaggio;
- la vita biologica è mortificata dalla Parola;
- la legge della Parola introduce un limite all'essere solo animale, da qui un senso di perdita ( dell'arcadico status pre-umano - neonatale ad esempio )
- ma la separazione dall'essere biologico non è un deficit, piuttosto una apertura nuova della vita ; solo l'incontro con l'esistenza del limite e della mancanza genera il desiderio, come potenza generativa.

La chiave del lavoro di Recalcati è poi la trasmissione di questo desiderio alle generazioni, ma vorrei qui sottolineare  il corto circuito della Legge della Parola, che usa come chiave interpretativa delle relazioni genitoriali, con le prime parole della  Genesi riportate qui sopra.

Per mettersi in relazione con l'Universo, Dio usa la parola.  
Perchè l'uomo entri in relazione con il Creato, deve dare un nome alle creature.

Tre modi - quello dei codici di programmazione, della narrazione e dell'analisi psicoanalitica - per mettere la parola al centro dell'uomo.


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