domenica 24 dicembre 2017

La notte di Yousef



Yousef era esausto. Aveva camminato tutto il giorno e gran parte della notte, vagando affannosamente alla ricerca di un riparo soprattutto per Myrhiam, ormai gemente per i dolori del parto.
Una capanna, solo una capanna di pastori avevano trovato, messa loro a disposizione, mentre quegli uomini rozzi ma gentili avevano pernottato all’aperto.
Dopo che Myrhiam ebbe partorito, gli fu mostrato il bimbo. Un bel neonato che strillava al mondo il suo arrivo. Niente di particolarmente strano, niente di santo.
Era dunque questo minuscolo essere che avrebbe dovuto chiamare Yeshua, Yahweh che salva ?
Ebbe appena il tempo di ammirarlo e di stringere forte la mano della sua sposa.
Lei gli ritornò un sorriso affaticato e uno sguardo, lo stesso che lo aveva fatto innamorare, quando l’aveva notata la prima volta alla Festa delle Capanne.
Fu sbrigativamente allontanato dalle donne che avevano assistito al parto e e preso in consegna da un gruppo di pastori. Lo avevano rifocillato e con lui avevano festeggiato il nuovo nato.
Intorno al fuoco fecero girare un otre di vino con miele, e con molte allusioni brindarono al  nuovo padre.
Inebriato e confuso, i pensieri vagavano tra l’euforia della nascita, la preoccupazione per il futuro, i dubbi sulle decisioni prese.
Ricordava la gioia degli incontri con Myrhiam, le sere addolcite da tramonti che si spegnevano nei suoi occhi scuri, la felicità per le nozze imminenti …
Poi l’annuncio di quel bimbo nel grembo. Myrhiam glielo aveva detto guardandolo negli occhi, orgogliosa, aveva  tenuto testa a tutte le sue domande, alla sua rabbia. No, non era lui il padre del  bambino, ma Myrhiam non aveva conosciuto altro uomo. E come era possibile?
Un messaggero del Signore? Non si era mai udito. Perchè proprio a lei ? Non aveva risposto.
Aveva urlato, l’aveva minacciata. Ma lei ferma, impassibile, le mani sul ventre a proteggere la creatura che maturava in lei dalla veemenza di Yousef.
Quella notte, e molte altre dopo, il sonno non si era impadronito della sua anima agitata.
Egli le voleva troppo bene, la sua rabbia si era trasformata in rassegnazione, ma non poteva tenerla con sé. L’avrebbe allontanata, ma in segreto.
Quando giunse a quella decisione, si lasciò vincere dalla stanchezza e finalmente riuscì a dormire.
E sognò.  Dapprima sognò Myrhiam, che si allontanava da lui, egli voleva raggiungerla, ma era legato a un giogo, come un animale, come un mulo era costretto a girare la ruota di un mulino, e a ogni giro vedeva la sua sposa allontanarsi sempre più  e la sofferenza in lui si faceva sempre più grande.
Poi un essere  splendente, dalle vesti candide entrò nel suo sogno e gli parlò.
«Yousef, figlio di David, non temere di prendere con te Myrhiam, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Yeshua: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati.»
Chi era quell’essere ? Parlava a nome di Dio ? Come poteva credergli ?
Il mattino dopo, Yousef era andato in sinagoga e aveva chiesto consiglio su come porsi rispetto ai segni che l’Altissimo ti poneva dinnanzi. 
Il sacerdote, intuendo l’inquietudine di quell’uomo, rispose che di fronte ai misteri di Dio  non si può fare altro che chinare il capo e pregare.

«Dov’è il bambino?»
La voce cavernosa proveniva oltre l’alone di luce del fuoco. Più di un pastore ebbe un sussulto e guardò preoccupato verso il punto da cui era giunta quella domanda.
Yousef si riscosse dal dormiveglia. Soldati?  Addetti al censimento? Com’era possibile che avessero già saputo del bambino? Non fece in tempo a riprendersi, che il tono cavernoso si fece appena più gentile.
«Dov’è il bambino che è appena nato.»  L’autore della domanda si avvicinò al fuoco.
Era un gigante, forse Goliyat tornato dagli inferi, ma giovane come lo era David. Misurava almeno quattro cubiti, e le sue spalle occupavano altrettanto spazio. Ed era un soldato romano.
Qualcuno intorno al fuoco mise mano al coltello.
Il gigante allargò le mani, a mostrare che non portava armi, e si mise a narrare.
«Ero appena uscito dalla taverna, non avevo bevuto molto. Mi trovo davanti un giovane dalle vesti bianche, che mi sorride. Provo a scansarlo, ma mi sembra di afferrare l’aria. Egli mi sfugge. Poi mi dice, sempre con il sorriso “Amico, ti devo  dare un annuncio. È nato un bambino.” Io alzo le spalle. Ne nascono tanti di bambini, e molti ne muoiono, è la vita. Ma quello prosegue. “Longino! Egli è nato anche per la tua salvezza. Sei chiamato ad avere un ruolo nella vita di quel bimbo. Ora vai, lo troverai dove più misera è la vita e più fredda è la notte."   Non ricordo cosa feci dopo. Mi sono ritrovato qui con in testa il solo pensiero di trovare quel bambino.»
Con riluttanza, Yousef rispose.
«È qui. È mio figlio.»
Nel dirlo, Yousef si sentì investito del compito che negli anni a venire lo avrebbe occupato per tutte le ore libere dal lavoro. Avrebbe accudito quel figlio, lo avrebbe protetto, gli avrebbe insegnato le Sacre Scritture, sarebbero insieme andati in Sinagoga e insieme avrebbero faticato, assaporato il sudore del lavoro, il profumo del legno e della pece.
Lo avrebbe cresciuto affinchè diventasse uomo.
E tutto l’orgoglio si tradusse in quella risposta.
«È mio figlio.»
Non il figlio di Dio, che così si sarebbe rivelato nel tempo.
Non un figlio bastardo, frutto di un concepimento in cui lui non aveva preso parte.
Non un figlio trovato,  piantatosi davanti al suo cammino per quella sorte che gli uomini di Israele ritengono essere spesso avversa nei loro confronti.
Un figlio. Suo figlio.

Il brusio intorno al fuoco era aumentato. C’erano molte persone. Qualcuno si rivolgeva a lui, anche se Yousef non era certo di comprendere tutto quello che diceva.
«Mi è apparso un Angelo, era un Angelo del Signore, ti dico. Non mi ha parlato, ma ho subito capito che dovevo venire qui, che qui è nato colui che sarà Re d’Israele. »
«C’era un ragazzo, me lo sono trovato seduto accanto a me.  Si è alzato e mi ha preso per mano, portandomi qui. Ma ora è sparito. »
«Noi abbiamo sentito come un coro di voci, no, non erano  voci  di pecore, che a volte paiono belare all’unisono. Le abbiamo sentite distintamente, cantavano Gloria nell’alto dei cieli. »
Le parole si sovrapponevano, alcuni lasciavano accanto alla capanna dei panni, ceste che si colmavano di cibo.
Yousef era stordito. Strette di mano, pacche sulle spalle, abbracci. Tutti si congratulavano con lui, il padre che padre non era, ma che lo sarebbe diventato.
La porta della capanna si aprì, uscì Myrhiam, con in braccio un fagotto, che  porse a Yousef con uno sguardo carico d’amore.
Il volto del bimbo era sereno, ignaro del ruolo che avrebbe avuto nel mondo.
Lo avrebbero chiamato Yeshua, come aveva ordinato l’angelo.
Yeshua, Dio salva.
Egli lo sollevò in alto, per mostrarlo a tutti, e un’ovazione esplose tra la folla.

Una intuizione nacque in Yousef. Non era tanto importante essere certo della provenienza di quel figlio cresciuto nel ventre di Myrhiam.
Il vero mistero era un’altra domanda. Una domanda alla quale né i sacerdoti, né i saggi sarebbero riusciti a dare risposta sincera, ma che quel bambino che oggi era suo figlio avrebbe incarnato nella sua vita.
Una domanda semplice e profonda.


Da dove veniva tutto questo amore ?

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